Franz Gojer

Stappo Distribuzione Vini Roma - Franz Gojer

Siamo davanti a un pezzo di storia, per l’enologia altoatesina. Si era infatti nel 1970, quando Franz Gojer decise di imbottigliare per la prima volta i frutti del suo lavoro. Da allora, ovviamente, non ha più smesso: coadiuvato dalla moglie Maria Luisa nel nobilitare questo lembo di terra dove la schiava l’ha sempre fatta da padrona ma che oggi è celebrato anche per tante altre meraviglie, tutte assolutamente pertinenti la tradizione viticola più radicata nel territorio.

S’è detto della schiava, innanzitutto: un’uva, comunque non facile, che un tempo sostanzialmente costituiva da queste parti conditio sine qua non, sia per i risultati quantitativi consolidati sia per la facilità di beva e d’approccio che costituiva la cartina al tornasole del vitigno e dei consumatori del posto.

La sensibilità dei Nostri, però, non poteva non guardare oltre, scavalcando le recinzioni della pigrizia e della routine: scrollandosi di dosso, in questo modo, un impegno basato soltanto su una produzione codificata e puntando verso obiettivi qualitativi maggiori, facendo dell’attenzione e della passione il tratto distintivo del proprio lavoro, prima in vigna poi in cantina, rendendo così la Tenuta Glögghof un caposaldo della viticoltura sudtirolese, prodromo esemplare per tanti produttori che poi ne seguiranno il verbo, traendone felicissimo spunto.

Ulteriore svolta, arrivando ai giorni nostri, con il passaggio di questo maso storico nelle mani di Florian, figlio dei titolari, che unitamente alla sua Evi, compagna di vita e d’avventura, continua a solcare i mari del vino altoatesino non solo mantenendo ben saldo il vessillo della qualità, ma addirittura continuando ad innalzarlo.

Su questi straordinari terreni vulcanici, infatti, situati fra la Val d’Isarco e la Val d’Ega, con vitigni mediamente allocati intorno ai 600 metri d’altitudine, anche questo ramo più giovane della famiglia non riesce a ad adagiarsi sugli allori: ecco allora che il lavoro sulle uve bianche – risalgono al 2007 gli impianti studiati per ottenere il meglio anche da queste – sta dando risultati decisamente rilevanti. Meritevoli d’assaggio, infatti, sia il Kerner, che arriva ad essere raccolto quasi a 700 metri d’altezza, sia il Sauvignon dalle rese bassissime, tipico, fresco, minerale e di grande serbevolezza.

Il Pinot bianco, poi, merita un discorso a sé: evoluto parte in legno e parte in acciaio, vede nel primo caso anche la fermentazione in botte, con filtrazione più blanda rispetto all’acciaio onde acquisire ulteriore complessità; ad un mese dall’imbottigliamento si procede poi con l’assemblaggio, per un risultato intrigantissimo.

C’è enorme sensibilità anche verso l’ambiente che li ospita, dietro all’operato di questi ragazzi, che gestiscono in famiglia tutti gli 8,5 ettari – buona parte in pendenza -, aiutati da un unico fidatissimo collaboratore: l’azienda non è biologicamente certificata ma l’attenzione all’ecosistema è infatti assoluta, con utilizzo basilare di rame e zolfo ed eventuali pur minimi interventi qualora ci fosse da combattere la cagionevolezza della schiava, uva delicata e dalla buccia sottile.

In tal senso una sorprendente novità è data dal Rosato, sempre da schiava ma ottenuto dal vigneto più alto e fresco, posto però in prossimità di un bosco purtroppo frequentato dal cosiddetto moscerino dei piccoli frutti, la drosophila suzukii, originaria del sudest asiatico e diffusasi in Europa nel 2008: per cui risultano indispensabili vendemmia anticipata e massima attenzione da parte dell’uomo. Ma quello che si avrà poi nel bicchiere, dopo neanche mezza giornata di macerazione ai fini della freschezza di beva, in stile provenzale, è davvero capace di ripagare di qualsivoglia fatica e apprensione: grazie a una godibilità, a un’immediatezza, a una leggibilità e a un equilibrio con pochi eguali nel genere.

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