Cantina Bosco Sant’agnese

Stappo Distribuzione Vini Roma - Cantina Bosco Sant’Agnese

Siamo nel centro del Sannio: fra Irpinia, Molise e Puglia, a soli tre chilometri da Taurasi. Nell’azienda familiare di Angela Molinaro che, insieme al marito Antonio, continua a mettere in pratica una filosofia enoica fatta innanzitutto del massimo rispetto della natura: la stessa attenzione un tempo già messa in atto dai suoi predecessori e oggi vissuta dai titolari con lo stesso spirito ma ovviamente con intenzioni, esperienze, visioni, strategie e competenze maggiori, rispetto a un passato in cui questa costituiva un genuino modo d’essere dove però la qualità non risultava affatto un obiettivo primario. Mentre i Nostri, al contrario, non intendono affatto trincerarsi dietro a sovrastrutture ideologiche e ambientaliste per giustificare eventuali risultati deludenti, come oggi innegabilmente succede a molti.

Prima vinificazione nel 2017 e primo imbottigliamento nel 2019, dopo una razionalizzazione meditata del comparto viticolo ereditato, per una viticoltura autoctona che pone al centro dell’interesse la coda di volpe (una volta quasi esclusivamente uva da taglio), il piedirosso, la barbera sannita o del Beneventano (localmente definita barbetta, nulla infatti a che vedere con l’omologo piemontese), una piccola quantità di aglianico e il greco, che dal prossimo anno vivrà di una produzione maggiore, dato il raggiungimento da parte delle viti dell’età adatta allo scopo. Diecimila bottiglie circa, per scelta economica e logistica tutte IGT, da un altopiano situato a 400 metri d’altitudine, grazie a cinque ettari di terra che a detta di chi li gestisce sono la misura opportuna per seguire personalmente il lavoro dall’inizio alla fine, sia in vigna sia in cantina. Certificazione biologica, grande attenzione al mondo della biodinamica, ma soprattutto la voglia di fare vini buoni che siano sì rappresentativi del territorio e del loro lavoro, ma che abbiano anche la prerogativa di piacere ai consumatori. Da quest’anno ad aiutarli enologicamente c’è Gennaro Reale, dopo il lavoro svolto in passato con Michele Lorenzetti, con eccessi d’interventismo considerati sempre e soltanto quando necessari, al fine di ottenere il meglio: quindi temperature non controllate (anche per limitare costi ed impatto ambientale), lieviti indigeni, bentonite in casi limite, acciaio sempre e comunque (senza correre inutilmente dietro a mode dettate dall’anfora), un paio d’ore di macerazione e imbottigliamenti mediamente eseguiti l’estate successiva alla vendemmia.

Citato prima il piedirosso, di cui Antonio e Angela propongono (dopo pigiatura soffice, sostanzialmente una sgrondatura, e un paio di settimane di macerazione) una versione strutturata, solida e articolata, opposta alla tradizione campana che l’ha sempre voluto leggero, sbarazzino, frizzante e disimpegnato, va sottolineata la qualità del Covante (a breve arriverà il 2022), dal rapporto qualità-prezzo convincentissimo e dal timbro organolettico equilibrato e aromatico, con la modulata acidità a fornire freschezza e serbevolezza. Da seguire attentamente, inoltre, l’esperimento dell’Appiano: uno sciascinoso (uva locale) in purezza, che vista l’intrinseca difficoltà a giungere compiutamente a maturazione, e quindi la sostenuta acidità, i titolari hanno voluto proporre dopo rifermentazione in bottiglia, pur se per  una produzione esigua di alcune centinaia di bottiglie.

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