Ca’ del Prete

Stappo Distribuzione - Ca' del Prete

È sempre un valore aggiunto, anzi più d’uno, confrontarsi con aziende guidate da giovani che non solo rispettino appieno la natura, con la testa e con il cuore, ma si prendano anche la briga di valorizzare quegli ambiti viticoli (e le rispettive uve d’appartenenza) che altri superficialmente potrebbero erroneamente trascurare, almeno a primo acchito.

Luca Ferrero, con la sua Ca’ del Prete, è fra questi. Siamo a Pino d’Asti, in una cantina di cui il Nostro ha preso definitivamente in mano le redini dopo averle ereditate da Giorgio Ferrero (Luca, esponente della quarta generazione aziendale, altri non è che il nipote; così come Ca’ del Prete sarebbe il nome della cascina, oggi sede della cantina, che un tempo apparteneva alla canonica sovrastante).

I suoi predecessori hanno sempre operato in conduzione biologica: ovviamente Luca s’è fatto continuatore del verbo, arricchendolo ulteriormente con studi costanti tesi al minimo interventismo chimico e tecnologico, facendosi così ulteriormente complice del resto della fauna e della flora che lo circonda. Al momento, ai fini dei necessari trattamenti nel vigneto, sta lavorando anche sull’ottimizzazione dell’utilizzo di zeolite chabasite, un fungicida naturale di origine minerale. L’attenzione scrupolosissima all’ambiente si evince oltretutto dalla felicissima intuizione di servirsi di specifici tappi a vite per i quali è possibile scegliere, a seconda dei casi, la tipologia di membrana più adatta allo scopo: rendendo anche questo elemento un capitolo imprescindibile del suo romanzo enoico (vedi nondisughero.it, come riportato anche sulla superficie esterna del tappo stesso).

Ciliegina sulla torta, una tale attenzione non poteva che essere poi indirizzata verso il vitigno protagonista del suo impegno (insieme a refoli di malvasia, barbera e nebbiolo), cioè la freisa: che Luca ha destinato agli appezzamenti migliori, fatti di un microclima
pressoché unico e di un sottosuolo calcareo, sabbioso, limoso e argilloso.

Quel vino, da sempre considerato sì conviviale ma talvolta rustico e fin troppo immediato, fra le mani e la testa di Luca s’è fatto articolato, solido e profondo: grazie alla ricerca e alla sperimentazione del titolare, capace anche di lunghe macerazioni prima
dell’imbottigliamento.

Non ultimi, infine, i nomi delle etichette, che già da soli fanno presagire come Luca ritenga i suoi vini uguali e diversi al contempo: il Casot (l’antica dimora dei lavoranti del vigneto), il Gal (il gallo, per coloro che una volta, anche se tramontato il sole, continuavano a ruotare attorno al vino), il rosato Malvè oppure il Blenda (pigro, nel dialetto locale, perché i tempi della fermentazione se li decide tutti lui, senza se e senza ma). 

Proprio quest’ultimo è fra gli esempi più compiuti del lavoro di Luca. Da tre appezzamenti di Freisa, è un rosso di beva godibilissima: leggermente mosso dalla carbonica che lo sostiene e lo amplia, sia negli aromi sia nella freschezza di un sorso sostenuto e sempre
appagante.

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